Fare gruppo con profitto - Prima parte

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Le attività di gruppo rappresentano una componente fondamentale del club che, incidendo sulla soddisfazione e fidelizzazione dei soci, influenza la redditività. Un esperto in materia ripercorre la storia del group fitness, illustrandone i fattori critici fondamentali.

di Fausto Di Giulio

Le attività di gruppo rappresentano una componente fondamentale del club che, incidendo sulla soddisfazione e fidelizzazione dei soci, influenza la redditività. In questo primo articolo un esperto in materia ripercorre la storia del group fitness, illustrandone i fattori critici fondamentali

Sono passati ormai vent’anni da quando, nel gennaio del 1990, Gin Miller lanciò lo step innescando una vera e propria “rivoluzione” che ha avuto un effetto a cascata nel mondo del fitness. Quello strumento rese le classi di aerobica accessibili anche a persone con capacità fisiche più limitate, ampliando di conseguenza il target di potenziali clienti. Quell’idea innovativa ispirò la creazione di molti altri corsi e strumenti in grado di attirare tante persone che non avevano mai frequentato un fitness club. Negli anni nacquero lo Spinning, il Body Pump, lo Slide, la Fitboxe, lo SlowFIT, il Walking e il Rowing e tante altre discipline di successo.
Alla luce di questa evoluzione, risulta evidente come una corretta impostazione dell’area corsi sia vitale per il successo dell’azienda club poiché essa rappresenta, insieme alla sala attrezzi, il suo core business. Il peso di tale area, in termini di costi e ricavi, influenza in modo determinante il conto economico e finanziario e quindi la produttività del club nel suo complesso.

Per configurare e attuare strategie proficue per la gestione delle attività di gruppo è innanzitutto fondamentale porsi alcune domande in chiave sia retrospettiva sia prospettica:

  • Quali discipline hanno conservato un consenso duraturo negli anni e quali, invece, sono scomparse nel giro di brevissimo tempo? E soprattutto, perché?
  • Quali sono, attualmente, i corsi più in auge?
  • Esistono differenze tra quanto accaduto in Italia e nelle altre nazioni?
  • Quali corsi sono attualmente in crescita e quali in calo? Quali sono i fattori che determinano la popolarità di un corso?

Imparare dalla storia

I corsi musicali nacquero negli anni Settanta, esplosero negli anni Ottanta e cominciarono a evolversi negli anni Novanta con l’introduzione degli accessori. Oggi esistono più di 90 tipologie di corsi diversi. Indipendentemente dalle capacità – comunque fondamentali – dell’istruttore, quali corsi si sono affermati grazie esclusivamente alle loro qualità intrinseche? Quali sono gli elementi che li rendono attraenti decretandone il successo in ambito internazionale? Per quale motivo alcuni corsi hanno successo e altri no? Per individuare i 6 principali fattori intrinseci che incrementano le probabilità di successo di un corso e che lo rendono attraente per un ampio target di utenza, basta ripercorrere i capisaldi della storia del fitness moderno.

La nascita del settore fitness risale agli anni Sessanta con l’apertura delle palestre di Jack LaLane e Vic Tanney negli Stati Uniti. Erano locali enormi pieni di bilancieri e rudimentali macchine a contrappeso rivolte esclusivamente ai body builder e agli atleti. Fu negli anni Settanta che, grazie alla coincidenza di due eventi, si crearono i presupposti per la nascita dei moderni fitness club, suddivisi nelle due macroaree: la sala attrezzi e le sale destinate ai corsi svolti con sottofondo musicale.

La data di nascita dei corsi può, infatti, essere fatta risalire al 1969 quando due donne, contemporaneamente e senza conoscersi tra loro, lanciarono le prime lezioni musicali rivolte al pubblico femminile: Judi Sheppard Missett ideò la Jazzercise e Jacki Sorensen l’Aerobic Dancing. Furono loro a preparare il terreno per la nascita del grande fenomeno dell’aerobica. Erano entrambe insegnanti di danza e si accorsero che solo le persone tecnicamente più abili e in forma partecipavano alle loro lezioni, escludendone molte altre, intimorite dalla difficoltà d’esecuzione. Individuarono così una domanda espressa dal mercato: un’attività che consentisse di mantenersi in forma compiendo movimenti divertenti a ritmo di musica, ovvero qualcosa che risultasse più accessibile della danza vera e propria.

Entrambe semplificarono le coreografie e codificarono un metodo ben preciso. Judi ideò un sistema pre-coreografato, Jacki ne creò invece uno meno coreografato ma più atletico, combinando le sue due passioni: la danza e la corsa. Entrambe cominciarono a diffondere questi due metodi con lo scopo di permettere alle donne di mantenersi in forma. In pochi anni l’Aerobic Dancing e la Jazzercise si diffusero a macchia d’olio. La fine degli anni Settanta, mentre l’aerobica continuava la sua ascesa, segnò la crisi dei centri dedicati al racquetball. Per fronteggiarla, i gestori convertirono i campi indoor in sale per l’aerobica e invece di affittarli a terzi, incominciarono ad assumere istruttori pagati a ore e a vendere abbonamenti. Una spinta decisiva alla diffusione di massa dell’aerobica arrivò nel 1981 quando Christine MacIntyre, appassionata di aerobica, e Joe Weider, noto cultore del body building, lanciarono la rivista Shape, la prima vera pubblicazione dedicata al fitness. Era un periodico che si rivolgeva alle donne per informarle, ispirarle e motivarle a restare in forma. Molte celebrità cominciarono a fare aerobica con costanza e l’apoteosi fu raggiunta nel 1982 quando Jane Fonda aprì a Los Angeles il suo Aerobic Studio, girò il film The Electric Horseman e incominciò a produrre video e libri.

I sei fattori del successo

Ripercorrendo la storia delle attività di gruppo ci accorgiamo che il primo elemento intrinseco fondamentale per il successo di un corso è il sottofondo musicale che affievolisce la sensazione di affaticamento rendendo l’esercizio più piacevole e coinvolgente. Ma l’aerobica, nella sua versione originaria, aveva due limiti: era rivolta prettamente alle donne e, pur essendo più semplice della danza, era pur sempre rivolta a persone con un certa dose di abilità motorie e con una discreta preparazione fisica. Un altro pioniere del fitness – il simpatico Richard Simmons, ex obeso che aiutava tutti, giovani e meno giovani, magri e non, a stare in forma in modo divertente e accessibile – creò il “fitness per tutti” semplificando ulteriormente gli esercizi, rivolgendosi alla popolazione media. Le sue lezioni erano delle vere e proprie esperienze, ricche e coinvolgenti, nel corso delle quali ogni partecipante si sentiva speciale e capace, pur non avendo abilità particolari. Simmons ci ha insegnato la seconda componente intrinseca del successo dei corsi: la facilità, indispensabile per abbassare il più possibile le barriere d’accesso.

Nel 1990 arrivò il primo accessorio per le lezioni di gruppo: lo step, lanciato da Gin Miller. Oltre a rendere la lezione più “atletica” e meno difficile, aggiunse il terzo fattore: l’accessorio fitness che, psicologicamente, attenua il disagio che molte persone provano nei confronti di uno spazio vuoto.

Negli anni Novanta si imposero così altri importanti strumenti per le attività di gruppo che aprirono definitivamente le porte delle sale corsi a tutti, uomini e donne. Lo Spinning divenne un fenomeno di massa grazie a diversi fattori intrinseci, ma soprattutto grazie al quarto elemento: la personalizzazione dell’intensità nascosta, ovvero la possibilità di allenarsi in gruppo a ritmo di musica, compiendo movimenti facili, utilizzando un attrezzo, ma potendo scegliere la propria intensità senza che gli altri se ne accorgano, essendo in questo modo tutti sullo stesso piano, a prescindere dalle differenti condizioni fisiche. Un’altra barriera – il senso di inadeguatezza – fu così abbattuta.

Negli stessi anni la diffusione a livello mondiale del Body Pump di Les Mills e altre discipline simili finalizzate al condizionamento muscolare rivelò un quinto importante elemento intrinseco: la sensazione fisica d’intensità. Trattandosi di esercizio fisico, e quindi di ricerca di risultati, è importante per i praticanti ricevere un feedback, in tempo reale, basato su sensazioni fisiche quali affaticamento muscolare, frequenza cardiaca e sudorazione. Una corretta interpretazione della combinazione dei 3 elementi porta a una soddisfazione psicologica e alla piacevole sensazione di non aver perso tempo.

Nel 1998, con l’introduzione in Italia della Fitboxe, disciplina di mia ideazione, nasce il primo programma, poi diffusosi a livello internazionale, che introduce un sesto elemento fondamentale: la stretta relazione con uno sport. Divenne così possibile allenarsi con il sostegno motivazionale di coinvolgenti sottofondi musicali e delle indicazioni di un istruttore, compiendo movimenti semplici e modulando l’intensità in base alle proprie capacità.

Misurare il potenziale dei corsi

Il primo passo da compiere consiste, dunque, nel proporre alla propria clientela corsi che contengano i sei elementi poc’anzi illustrati. Solo in questo modo è possibile compiacere i partecipanti favorendone soddisfazione e fidelizzazione. Per decidere se inserire o mantenere un corso nel proprio palinsesto, spesso ci si concentra sul volume (quanti sono i frequentanti), dimenticandosi che ciò che conta maggiormente è il margine (i profitti generati dal corso). Questo errore potrebbe indurre a sostenere investimenti eccessivi che, anche a fronte di una sala piena diverse ore alla settimana, può tradursi in una perdita economica. Per chiarire questo concetto molto importante possiamo ricorrere a un esempio. Supponiamo che la stessa sala venga utilizzata per lo svolgimento di tre corsi diversi. In questo caso le voci di costo che maggiormente incidono sul corso sono tre: accessori, istruttore e formazione.

Gli accessori

Per spiegare nel modo più chiaro possibile come valutare la redditività di una lezione di gruppo – sottraendo i costi ai ricavi – facciamo l’esempio di tre diversi corsi, tutti ugualmente frequentati (20 persone), presenti nel palinsesto orario per sole 3 ore alla settimana (3 corsi per 20 frequentanti fanno quindi 60 presenze settimanali) supponendo che i tre corsi in questione siano inclusi nell’abbonamento al club.

Il profitto generato da un corso a corpo libero (costo accessorio pari a zero e costo accessorio per cliente ugualmente pari a zero) è maggiore di un corso svolto con un accessorio che costa 80 euro (il costo accessorio di 20 pezzi è di circa 1.600 euro, con un costo accessorio per cliente pari a circa 26 euro). Ma il profitto generato da questo corso è a sua volta notevolmente maggiore rispetto a quello di un corso svolto con un accessorio che costa 800 euro (il costo accessorio di 20 pezzi è di circa 16.000 euro, con un costo accessorio per cliente pari a circa 266 euro). Ciò significa che per avere un cliente nel corso a corpo libero spendiamo zero, nel secondo corso 26 euro e nel terzo 266. Ovviamente dando per scontato che il ciclo di vita dei prodotti sia molto simile. Per una più accurata valutazione degli ammortamenti, vanno sempre considerati anche il tempo medio di vita del prodotto e l’eventuale riacquisto, oltre agli ulteriori costi aggiuntivi di manutenzione (ricambi e manodopera).

Per valutare se sia opportuno o meno acquistare un accessorio, bisogna tenere in considerazione altri due fattori importanti: stagionalità e versatilità. Per quanto concerne la stagionalità, è ovvio che un corso che “lavora” 12 mesi all’anno, quindi anche d’estate, è più produttivo rispetto a un corso che lavora solo 8 mesi. Per quanto riguarda invece la versatilità dell’accessorio, ovvero in quanti corsi o aree può essere impiegato, è bene sottolineare che se può essere utilizzato solo per un corso o un area specifica (ad esempio solo nell’area corsi e non nell’ambito del personal training) il suo rendimento è sicuramente inferiore. Dividendo il costo totale dell’accessorio per tutte le diverse attività e aree in cui può essere impiegato, si ottiene il vero rendimento del corso e dell’accessorio stesso. Se ad esempio i 20 accessori da 800 euro sono sempre occupati, ma solo nelle 3 ore settimanali in cui si svolge il corso che ne prevede l’utilizzo (60 presenze), il costo dell’accessorio grava tutto su questo corso. Se invece gli accessori da 80 euro sono utilizzate anche in un secondo corso di Pilates (3 ore a settimana con 20 frequentanti per un totale di altre 60 presenze a settimana) e in un terzo corso di tonificazione Tone Up (3 ore a settimana con 20 frequentanti per un totale di altre 60 presenze a settimana), significa che il costo accessorio/cliente va diviso anche per altre 120 presenze (60 presenze del Pilates più 60 del Tone Up). Quindi scende da 26 a 9 euro, avvicinandosi allo zero del corpo libero.

fare i conti non basta

Bisogna tuttavia sottolineare che decidere se introdurre o meno un corso basandosi esclusivamente sul mero rapporto costi/ricavi potrebbe indurre a commettere errori. È infatti indispensabile analizzare in che modo il corso in questione si inserisce nella strategia globale del club, coerentemente con il suo posizionamento strategico distintivo e caratterizzante. Un corso potrebbe ad esempio risultare molto costoso e poco profittevole, ma comunque molto utile in quanto concorre al chiaro posizionamento del club, attrae un nuovo target di clientela, suscita l’attenzione dei media, apporta una componente di innovazione riconosciuta dal mercato che influenza la vendita di iscrizioni e la fidelizzazione, stimola la vendita di servizi aggiuntivi (ad esempio personal training e valutazioni) eccetera. Nella seconda parte di questo articolo parleremo del costo dell’istruttore e della formazione e forniremo alcune indicazioni utili per scegliere tra le tante discipline oggi disponibili.

La seconda parte dell’articolo è stata pubblicata ne Il Nuovo Club n. 119. Chi fosse interessato a ordinare la copia arretrata, può rivolgersi a customer@ilcampo.it

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