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La sedentarietà è forse la peggiore e la più diffusa tra le cattive abitudini della società odierna ed è una delle principali cause di disturbi e patologie all’apparato cardiocircolatorio. Ciò potrebbe dipendere dall’incompatibilità tra la forma del nostro cuore e le nostre abitudini.
Un recente studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato su PNAS ha ipotizzato che, evolvendosi, il cuore dell’essere umano abbia cambiato fenotipo e funzionalità e che rispetto ai nostri antenati, in comune con gli scimpanzé, abbiamo più probabilità di contrarre malattie cardiovascolari proprio a causa dello stile di vita poco attivo, tipico di una società industrializzata.
Si è cercato quindi di capire in che modo l’evoluzione del cuore umano – e la conseguente incidenza sull’apparato cardiocircolatorio – abbia modificato anche le probabilità di ammalarsi.
Per risolvere ogni quesito, lo studio ha analizzato il funzionamento del cuore degli scimpanzé e quello di un campione umano comprensivo di alcuni coltivatori di sussistenza nativi americani Tarahumara, alcuni giocatori di football e alcuni individui sedentari sani.
Lo scimpanzé è dotato di un organo di forma diversa rispetto a quello dell’essere umano, ed è più adatto ad attività sporadiche brevi e dalla forte intensità, come le arrampicate o i combattimenti; i coltivatori di sussistenza, con abitudini tipiche dell’epoca pre-industriale, possiedono invece un cuore più adatto ad attività moderata e di lunga durata, dovendo camminare molto, cacciare e coltivare. Gli individui sedentari presi in esame, pur presentando un cuore dalla conformazione tipicamente umana, atto perciò ad un lavoro poco intenso e costante, hanno invece uno stile di vita più simile a quello degli scimpanzé, e praticano attività fisica molto intensa e sporadica.
La ricerca ha messo in luce quindi anche un secondo elemento, relativo all’incidenza di malattie cardiache. Il rimodellamento dovuto all’evoluzione non è idoneo allo stile di vita sedentario della modernità: il nostro cuore ha ormai bisogno di stimoli lievi e protratti nel tempo, che simulino le attività quotidiane della caccia e della coltivazione dei nostri antenati, e non dei brevi e intensi picchi di attività adatti a un cuore di forma e funzionalità diverse.
Per diminuire l’incidenza di disturbi cardiaci e dell’apparato cardiocircolatorio dovremmo quindi conformare le nostre abitudini alla forma del nostro cuore.
I popoli Tarahumara, a differenza delle popolazioni occidentali più industrializzate, sono infatti meno soggetti a patologie di questo tipo. Il cuore umano ha dunque bisogno che si torni a muoverci con maggiore frequenza e senza forti stress, se si vuole evitare di incorrere a forme di cardiopatia come quella ipertensiva dovuta, appunto, a una errata stimolazione del cuore.
Per approfondire l’argomento leggi lo studio per intero
