Allenamento funzionale sotto la lente

Esercizio funzionale
Autore: 
Vito Stolfi e Alberto Gusella
Giovedì, Maggio 18, 2017
Il fuctional training, ormai diffuso in tutti i fitness club del mondo, merita un’approfondita analisi, dal punto di vista sia tecnico sia strategico. Proponiamo uno stralcio dell’articolo scritto da due esperti in materia per la rivista specializzata Il Nuovo Club

L’allenamento funzionale attrae sempre più persone e viene sempre più frequentemente utilizzato nelle routine di allenamento. Alcuni ritengono addirittura che sia l’unica strada per allenarsi in modo efficace. Questo articolo si propone di indagarne i diversi aspetti per fornirne una visione d’insieme.

 

Origini e natura del functional training

Probabilmente l’allenamento funzionale fonda le sue radici nella riabilitazione. Fisioterapisti e terapisti occupazionali, infatti, inserirono nei programmi di riabilitazione riservati ai pazienti con problematiche motorie compiti simili alle attività della vita quotidiana. Ogni attività era personalizzata e proposta in base alle reali condizioni e necessità del paziente, in modo che l’obiettivo fosse realistico e raggiungibile. Se, ad esempio, il lavoro del paziente prevedeva il sollevamento ripetuto di pesi nel corso della giornata, il fine ultimo delle proposte riabilitative doveva essere funzionale allo scopo di sollevare grossi carichi; se il paziente era invece un maratoneta, lo scopo della riabilitazione doveva essere il miglioramento delle capacità di resistenza. Con esercizi funzionali, miravano dunque a condurre l’assistito a eseguire le attività della vita quotidiana con maggiore facilità, riducendo quanto più possibile il rischio di infortuni.

Questi principi, traslati nell’ambito del fitness, hanno portato a utilizzare una grande varietà di esercizi a carico corporeo o con piccoli sovraccarichi, spesso su superfici instabili, mirati soprattutto a migliorare la mobilità articolare, l’equilibrio e l’efficienza nei pattern di movimento globali, cosa impossibile da realizzare con l’utilizzo degli attrezzi isotonici tradizionali. Queste ultime, che hanno il pregio di isolare il muscolo target dell’allenamento, hanno lo svantaggio di non essere funzionali a movimenti della vita reale o di specifiche discipline sportive. Anche se possono risultare più facili e sicuri da utilizzare, vincolano a un movimento che per sua natura non può essere migliorativo di un pattern motorio complesso.

Allenamento con kettlebell

Il significato di “funzionale”

Quali dovrebbero essere, quindi, le caratteristiche in virtù delle quali un esercizio può essere definito “funzionale”? La risposta è apparentemente molto semplice: per essere “funzionale”, un esercizio deve assomigliare quanto più possibile, nella gestualità e nel contesto, al gesto che si sta riabilitando o allenando e deve, in ultima analisi, avere un risvolto reale e pratico.

Per rendere ulteriormente chiaro questo concetto, facciamo qualche esempio. Il curl concentrato con manubri è un esercizio funzionale al culturista che ha bisogno di isolare un muscolo ai fini dell’ipertrofia; i push-up in verticale (piegamenti sulle braccia eseguiti con il corpo posizionato in  verticale, in genere utilizzando una parete come appoggio) sono funzionali all’atleta di CrossFit che, per essere competitivo, ha bisogno di allenare questa particolare abilità; per una persona anziana, il cui obiettivo potrebbe essere prevenire le cadute, potrebbe risultare funzionale mantenere una posizione di equilibrio monopodico a occhi chiusi mentre esegue un compito destabilizzante con gli arti superiori.

Spesso, però, vengono proposti come “funzionali” esercizi che non hanno alcun nesso con attività reali e pratiche. Quale potrebbe essere, ad esempio, il risvolto funzionale una serie di squat eseguiti in equilibrio su una fitball? In buona sostanza dipende dall’obiettivo con cui questo esercizio viene proposto: se il suo scopo è eseguire un maggior numero di squat in piedi su una fitball, allora può in un certo senso essere considerato funzionale, ma è impensabile che una proposta simile possa tradursi in un miglioramento della prestazione sportiva in discipline quali lo sci o il surf (anche se entrambe vengono svolte su superfici instabili, ma il fattore “contesto” rende questo esercizio completamente diverso), e tantomeno in una discipline come il tennis, svolta su superfici stabili.

Golf

I fattori che migliorano la prestazione

 

Qual è, dunque, il più efficace ed efficiente sistema d’allenamento per ottimizzare una performance? I fattori che principalmente condizionano la prestazione sono, in particolare:

  • le caratteristiche genetiche;
  • la capacità di espressione di forza e rapidità;
  • la flessibilità e la mobilità articolare;
  • le capacità dell’apparato cardiovascolare e respiratorio;
  • l’intelligenza “sport specifica”;
  • la coordinazione e l’efficienza neuromuscolare.

 

La genetica è probabilmente il fattore che ha il più alto impatto sulla prestazione, un fattore spesso sottostimato. Non basta allenarsi come Usain Bolt per riuscire a correre i 100 metri in 9 secondi e 58 decimi se il proprio corpo non è geneticamente adatto a una prestazione simile. Ciò non significa che la performance non possa migliorare (al contrario, allenandosi con efficacia e intensità migliorerà eccome), ma l’obiettivo per cui ci si allena deve essere realistico e le proposte di allenamento devono essere commisurate all’obiettivo.

La forza è la più importante delle capacità condizionali da allenare allo scopo di mantenere un ottimo stato di salute. Allenare la forza nelle sue diverse sfaccettature migliora tutti gli altri attributi quali velocità, agilità, mobilità articolare ed equilibrio.

 

La versione integrale dell'articolo è pubblicata nel numero 156 (marzo-aprile 2017) della rivista Il Nuovo Club

 

Vito Stolfi è fondatore e personal trainer di Show Health Training Club, mentre Alberto Gusella (osteopata) ne è il responsabile scientifico.

 

 

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