Partendo dal presupposto che la salute e l’istruzione
Dal recente sondaggio condotto da IFO International Fitness Observatory in collaborazione con la società Egeria, coinvolgendo oltre 6.600 club in tutta Italia e coordinata da Paolo Menconi, presidente dell'Osservatorio, emerge che in Italia, a causa dell'emergenza coronavirus e delle conseguenti restrizioni, la perdita economica registrate dal settore dei fitness club ammonta, a oggi, a 2 miliardi di euro. E al gravissimo dato economico vanno aggiunti gli oltre la perdita di 200 mila occupazioni stabili.
Il 40% del campione sodato ha dichiarato di non sapere se ce la farà a resistere e per quanto tempo, mentre il 20%-25% dei club ritiene che non avrà più le risorse per sopravvivere alla crisi.
IFO ricorda inoltre che l'industria del fitness e dello sport rappresenta, con il suo indotto, una realtà di rilievo nell'economia nazionale: il valore del mercato italiano costituisce l'8% di quello europeo, collocandosi al quarto posto nella graduatoria continentale, alle spalle di Germania (20%), Regno Unito (19%) e Francia (9%), contando più di 5,5 milioni di iscritti alle palestre e un valore di mercato annuale superiore ai 2,4 miliardi di euro.
«Per quanto il fitness sia un mondo "ludico" di svago – ha commentato Paolo Menconi, presidente di IFO –, che eroga servizi in modo apparentemente spensierato, di fatto ha un ruolo chiave: diffonde benessere psicofisico con un'offerta molto variegata e per tutte le tasche, quindi andrebbe considerato diversamente, quasi più vicino al mondo della salute che a quello dello sport, perché fare movimento fa star meglio, è medicina preventiva, e dovrebbe godere di un'attenzione differente. Fare fitness non è solo un passatempo: erano più di 5 milioni le persone che andavano in palestra per stare bene anche dal punto di vista psicologico, contrastando ansie e solitudine, per farsi del bene. I risultati di questa ricerca indicano che l'industria del fitness è in un momento difficilissimo senza precedenti e che va protetta con interventi strutturali seri e concreti, sia per chi vi lavora sia per i clienti, per consentirle di rimettere in piedi e continuare a guardare serenamente al futuro».
Per quanto concerne la sfera economica, prendendo come riferimento il 2019 oltre il 50% dei club interpellati ha stimato un mancato incasso superiore al 70%, il 21% ha dichiarato che sta accumulando debiti relativi ai pagamenti delle utenze e il 75% nonostante la chiusura sta pagando gli affitti/locazioni.
Quasi l'87% del campione ha fatto sapere di ritenere le misure adottate finora insufficienti a sostenere il settore, suggerendo tra i provvedimenti principali forme di finanziamento a fondo perduto (78%), la sospensione di incombenze fiscali e bollette (66%) e l'emanazione di provvedimenti urgenti per il settore (58%). Il 20% ha dichiarato di non aver ricevuto ristori/contributi dallo Stato.
Lo studio ha confermato che la situazione è difficile per tutti, evidenziando alcune differenze per quanto concerne la capacità economica necessaria per resistere: il 14,7% ha dichiarato di avere autonomia ancora per 1 mese, il 31% per 2, il 48% per 3. Se la chiusura di protrae per altri 4 mese di stop, si rischia che oltre l'54% dei blub non sopravviva. Solo il 6,5% dei club potrebbe avere le risorse economiche per resistere a cinque mesi di chiusura, ma in generale regna l'incertezza: quasi il 40% dichiara di non sapere quanto può resistere ancora.
Il sondaggio è stato somministrato tra il 24 gennaio e il 28 febbraio 2021. 6.639 operatori su tutto il territorio italiano hanno ricevuto il questionario: 2.555 hanno aperto l'e-mail e 455 hanno risposto al questionario composto da 19 domande.